Il segreto della felicità? Donarsi - Di Lucia Gorlani Gardoni, da Il Giornale di Brescia, 22 giugno 2004

Chi non vuole essere felice? Tutti lo vorrebbero, pochi lo diventano. Gli esclusi si appellano al caso, se la prendono con il destino, scaricano le colpe sulla società. Mai come oggi, forse, la situazione dell’uomo è stata così contraria allo svolgersi di una vita felice e, mai come oggi, è stata così attiva e vigile la ricerca di una vita proiettata verso la felicità completa: l’uomo teme la malattia e la morte, la miseria, la frustrazione e l’insuccesso, la solitudine e la noia, sia perché sono aumentati i rischi incombenti, sia perché ha raggiunto una maggiore e più diffusa coscienza di tali rischi. Ma al timore va congiunta l’ansia di annullare i pericoli e di raggiungere uno stato di soddisfazione e di benessere totale. E, per raggiungerlo, all’insegna del senso di onnipotenza, tutte le vie sembrano buone. Il successo e il denaro, ottenuti con ogni mezzo, l’abbandono senza controllo agli impulsi momentanei anche contraddittori, il divertimento che istupidisce, sono tra i mezzi più evidenti e diffusi per procurarsi un appagamento che vada al di là delle strettoie della vita quotidiana..
Ma si può davvero parlare di felicità, osare sperarla in un tempo attraversato da un continuo succedersi di paure e sofferenze, a partire dall’incubo del terrorismo e dalle sofferenze dei tanti paesi ancora in guerra? C’è nel genere umano una domanda insopprimibile di felicità, una ricerca talvolta disperata, talvolta più serena, ma che spesso non riesce a trovare una risposta, chiusa com’è nella distanza invalicabile tra sé e gli altri, costruita sulla legge della sopraffazione, del più forte o del più furbo.
Ecco perché vale la pena di leggere e abbandonarsi alle pagine dell’ultimo libro, «La felicità è donarsi», di Claudio Risé (nella foto in alto), noto psicoanalista junghiano, che già si è occupato in altre pubblicazioni della relazione tra dono e inconscio individuale e collettivo.. Il testo regala sicurezza e incoraggia a prendere sul serio la vita: nulla appartiene al caso, tutto rientra in un’avventura da affrontare con la coscienza di essere protagonisti e con il coraggio della relazione. «Felicità è donarsi, e accogliere i doni della vita» è l’imperativo che l’autore ripete ad inizio di ogni capitolo. Perché, precisa, «care lettrici e lettori, la felicità non sta nel contemplarsi l’ombelico. Per lasciarla avvicinare, dobbiamo fare esattamente il contrario che raggomitolarci su noi stessi, nell’ossessiva difesa del nostro presunto benessere, che in realtà è un dannatissimo malessere. Dobbiamo alzare lo sguardo al di sopra del nostro celebrato ombelico... E dopo.
Finalmente, guardando non verso di noi, ma davanti a noi, cercare l’altro».Riflessioni semplici, che ci riconducono a quell’essenza della vita che è il nostro "esserci". Più volte Gesù, "maestro del dono", nel suo cammino di evangelizzazione, torna sul tema dell’altro come unico e fondamentale riferimento: «Ama il prossimo tuo come te stesso». «Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, pregate per coloro che vi maltrattano». «Non giudicate, per non essere giudicati». Parole che si oppongono alla cultura della competitività, alla logica della contrapposizione e della vittoria sugli altri a tutti i costi. Ma chi è l’altro? Un estraneo, un rivale o può essere un amico? Risponde Risé: «L’altro è l’altro uomo, l’altra donna, l’altra moltitudine di esseri umani, e poi, ancora al di là, di esseri viventi».
E, sottolinea: «L’altro è lì che ci aspetta, con tutta la sua energia, e la sua meraviglia».Nella speranza che noi ci lasciamo coinvolgere, incrociamo il suo sguardo, per «offrire, offrirci, donare e donarci». È difficile uscire dal girone del narcisismo dove tutto ruota intorno a se stessi. Occorre tempo per costruire un rapporto con l’altro ed occorrono luoghi fisici e mentali per farlo crescere. Ma occorre soprattutto la gratuità del dono, nella disponibilità alla comunicazione, all’accoglienza.L’importante è abbassare le difese, imparare ad ascoltare, ad entrare nell’altro. In questo mondo «tardomoderno», del «non dono», dove è in crisi l’identità individuale e sociale, dove trionfa l’indifferenza e la banalità, è urgente rivalutare quella passione umana orientata all’alleanza, alla solidarietà, alla pietas, alla cura dell’altro.
Una passione che abbiamo rimosso o chiuso nella vita privata, senza accorgerci di diventare egoisti, individualisti, competitivi, strumentali, poveri e aridi. «Il dono è il grande fabbricante di felicità: perché senza dono non c’è amore, né dato né ricevuto. E se l’essere umano non ama gli altri, i suoi compagni di avventura nel mondo, nella vita, non può essere felice. Sarà magari ricco, potente, di successo, ma gli mancherà sempre quella lucentezza nello sguardo, quell’allegra amicizia tra corpo e anima che accompagna la felicità».