Il piccolo breviario degli uomini generosi - Di Stenio Solinas, da Il Giornale, 29 giugno 2004

In «Felicità è donarsi» Claudio Risé esalta la cultura dell’altruismo contro gli egoismi contemporanei.

Un saggio che è anche il bilancio esistenziale di un brillante psicoanalista e sociologo controcorrente.
«Gli uomini generosi vivono la vita migliore; essi non hanno timore. Ma un codardo ha paura di tutto; l’avaro ha sempre paura dei doni». Questa citazione dall’Edda, che Claudio Risé mette in exergo al suo Felicità è donarsi (Sperling & Kupfer, 2004) illumina il libro come una lama di luce fa al mattino irrompendo nella penombra di una stanza. La generosità è accecante e spiazzante in un’epoca che non sopporta i colori netti e a volte fa persino paura.
L’idea del gratuito non abita più qui. Controcorrente, Risé prova a convincerci del contrario, che la salvezza non sta in Narciso ma in Dioniso, che la cultura del sé è asfittica quanto la cultura dell’altro è ariosa. E lo fa con un testo che è a metà fra l’autobiografia e il saggio, un bilancio esistenziale che è anche un esercizio intellettuale. Psicoanalista, sociologo, polemologo, l’autore è una figura anomala nel panorama culturale italiano.
Giornalista economico di grido negli anni Settanta si reinventò una professione allorché si rese conto che “l’economia mi aveva sempre annoiato mortalmente, che ero bravo a trattarla solo perché non mi ero mai permesso di fare una cosa troppo male, ma che in realtà detestavo ogni forma di conto”. Il libro è pieno di spunti e rivelazioni così, il bilancio di una vita baciata fin dall’inizio dal successo (a 19 anni è già studente dell’Institut Universitarie de Hautes Etudes di Ginevra, a 23 ha già pubblicato un saggio su I gruppi di pressione in Italia e in Francia che è ancor oggi un classico del genere, e già insegna…), ma con un’apertura verso l’altro e l’altrove che lo preserva dall’isterilimento e dalla bulimia della carriera.
Lo affascinano non solo e non tanto le personalità, ma quell’insieme di riti, di miti, di esempi, di codici comportamentali che cementano le comunità: si tratti dei giovani dirigenti algerini del Fronte di Liberazione Nazionale che dall’altra parte del lago di Ginevra, a Evian, stanno trattando la pace con la Francia e per i quali frequentare l’università equivale a un permesso di soggiorno; o dei figli dei pied noirs, i francesi d’Algeria per i quali quella pace è una condanna a morte, significa l’esilio, la rovina economica, la fine di un mondo. “La misura della vittoria, la dignità della sconfitta, il carattere fatale della lotta, cui non puoi sottrarti perché di essa è impastata la vita, sono tutti regali, anche difficili da accettare. Da allora appresi a non protestare mai per le sconfitte, e a non reclamare le vittorie”.
Costruito come un pamphlet, Felicità è donarsi affida alle note il compito di rimandare a un telaio intellettuale in cui da Marcel Mauss, il sociologo del dono, a Bataille, da Nietzsche a Jung, da Simone Weil a Jünger, a Kavafis, è facile rintracciare un percorso culturale aperto alle contaminazioni e tuttavia lineare. Ciò che rimane in superficie è il racconto di un’educazione alla vita nel segno dell’emozione, la sorpresa felicità che a volte ci coglie nell’essere in sintonia col mondo. Come scrive Joice di Dedalus, «vivere, errare, cadere, trionfare. Ricreare la vita dalla vita».